27) GIOVANNI III (959-999)
La seconda metà del secolo decimo è dominata dalla prestigiosa figura politica del vescovo Giovanni III, passato alla storia sotto il nome di GIOVANNI Il.
«Nulla sappiamo di positivo della sua origine e della sua nascita, benchè qualche indizio ci induca a... dedurre che Giovanni fosse bellunese e della famiglia o schiatta, probabilmente longobardica, che si chiamò poi dei Tassina o Tassinoni...». (1 )
Non si conosce il tempo della sua nascita, «ma non andremo lungi dal vero collocandola verso il 920». (2)
E neppure si conosce con certezza in quale anno fu eletto vescovo.
«E' probabile che fosse eletto nel 963; difatti anche da un «Chronicon» manoscritto del 1587, già appartenente alla Curia vescovile, senza nome di autore e che può essersi basato a carte ora smarrite, è assegnato l'anno 963 come principio del suo vescovado...» (3)
Altri invece fanno risalire l'inizio del suo episcopato all'anno 959 (4) e sarebbe stato eletto vescovo per acclamazione direttamente dal popolo bellunese. (5)
E' certo invece che nell'anno 963 si recò a Montefeltro per rendere omaggio ad Ottone I che assediava la rocca di S. Leo.
Il neo-imperatore deve essere rimasto molto bene impressionato dalla forte personalità del vescovo Giovanni; e fu largo con lui di privilegi e di amplissime concessioni, probabilmente perché lo riteneva un soggetto molto adatto a realizzare quella nuova politica che andava instaurando per una maggiore sicurezza e tranquillità dell'impero.
Queste concessioni e privilegi furono siglati in Montefeltro il 10 Settembre 963 con amplissimo diploma. (6)
Da una prima lettura di questo diploma, risulta evidente che l'imperatore Ottone Magno concede a Giovanni vescovo molto più che una semplice proprietà. Le parole infatti «pro anima iudicandi» e la «facoltà di edificare torri, castelli e fossati» dimostrano che si tratta della concessione di un vero feudo. (7)
Il feudo era governato da un Conte: e di fatto il nome di comitato attribuito a Belluno e al suo territorio, appare in un atto del 22 Luglio 998. (8)
Ma ci sono poi anche le conferme posteriori di Enrico Il nel I014, e di Corrado Il con diploma stilato a Worms il 10 giugno 1031 (9)
Dalla lettura del diploma di Ottone I sembra di poter fare anche una seconda considerazione.
E' un po' difficile accettare che l'imperatore abbia largheggiato in concessioni e privilegi se non avesse avuto di lui una buona conoscenza. Sembrerebbe quindi naturale il supporre che Giovanni, subito dopo la sua elezione a vescovo, avesse operato con notevole successo nella sistemazione e difesa del patrimonio ricevuto dai suoi predecessori.
Lo spazio di appena qualche mese sembra troppo ristretto perché egli abbia potuto realizzare quelle imprese che gli procurarono la stima, la benevolenza e la magnanima larghezza dell'imperatore.
Per questo sembrerebbe opportuno retrodatare di qualche anno la elevazione di Giovanni alla cattedra di San Martino; e forse la data dell'anno 959 nella quale Giorgio Piloni ci presenta Giovanni già come vescovo, potrebbe avere una forte probabilità.
Ottenuto questo diploma, Giovanni accompagnò a Roma Ottone I e il 6 Novembre 963 intervenne a quella adunanza di vescovi, presieduta da Ottone, nella quale fu deposto il Papa Giovanni XII dei conti di Tuscolo. (10)
Nel 967 fu al concilio di Ravenna, presenti il Papa e l'imperatore: nel qual concilio furono sostenuti i diritti metropolitani della sede di Grado contro 1' invadenza del patriarcato di Aquileia.
In questo stesso concilio, «Joannes Bellunensis Episcopus», si sottoscrive alla Bolla con la quale Giovanni XIII depose Eroldo dalla sede di Salisburgo e creò in sua vece arcivescovo Federico in data 25 Aprile 967. (11)
In quello stesso periodo, per un accordo tra il Papa e l'imperatore fu eretta in arcivescovado la chiesa di Magdeburgo, della quale fu primo arcivescovo S. Adalberto.
«In questa Bolla di erezione non figurano più come firmatari nè il patriarca Rodoaldo, nè Sicardo di Cèneda, nè Giovanni vescovo di Belluno; probabilmente essi avevano già raggiunto o stavano per raggiungere le loro sedi»» (12)
Giovanni, uomo estremamente dinamico, forte del diploma e più ancora dell'appoggio dell'imperatore, cominciò a riassestare le cose della sua città. Cinse Belluno con forti mura, vigilate da torri a difese da ampio fossato. Permise che anche i cittadini fabbricassero alte torri e difesa delle loro abitazioni. Fece compartecipi del governo della cosa pubblica quattro delle più antiche ed influenti famiglie, dalle quali ebbero inizio i «Rotuli» e perentele, gettando così il seme di quelle che saranno poi le gloriose «libertà comunali». (13)
«Concesse Polcenigo in Feudo a Fantuccio, suo fedele e valoroso capitano insieme con tutte le sue ragioni, così al monte come al piano, con la Corte, Dominio, Advocaria et Giurisdittione tra questi confini: da monte Cavallo fin a Covolana; e dindi al prato Paderno: e poi alli Colliselli di Campagna sin a pietra Paganat et al fiume della Livenza, costituendolo suo avvocato e difensore della sua chiesa, con obbligo suo e dei suoi successori di venir personalmente e con la sua militia a servir nelle occorrenti guerre che havesse la cittade, giurando fedeltà agli Episcopi e prestando l'omaggio del debito Vassallatico». (14)
Accativatasi la stima e la simpatia dei suoi concittadini, gli riuscì facile allestire un manipolo di uomini armati, con il quale prese possesso dei terreni e delle contrade avuti in dono dall'imperatore, venendo per questo anche in aspra contesa con i veneziani per i confini tra Oderzo ed Eraclea.
Probabimente i veneziani, approfittando della distruzione di Oderzo da parte dei longobardi e del suo conseguente abbandono, oltrepassarono la linea di confine tracciata a suo tempo dal re Liutprando, fornendo così motivo ed esca al vescovo Giovanni di rivendicare il legittimo possesso.
Entrato però nella mischia, non solo non si accontentò di ricuperare il suo, ma varcò i confini entrando in territorio veneziano con minacciose scorribande, mettendo in serio pericolo la sicurezza stessa del Dogado, «mandando li suoi capitani a piantar li stendardi suoi in sul lito per mezzo la cittade». (15)
Siamo verso l'anno 982: e i bellunesi, esaltati forse da questi successi contro i veneziani, «guidati dal loro vescovo, passarono nel Trevigiano, e cominciando dal contado di Ceneda, s'impossessarono del castello di Fregona, quello di Colle, Pinidello, Soligo e Paderno con altri luoghi nel territorio di Conegliano». (16)
«Forse questi luoghi e castelli erano stati o dagli imperatori o dai Marchioni di Verona, sottratti già innanzi all'autorità dei Conti di Cèneda, per assegnarli a lui».(' 7)
O forse, più verosimilmente facevano parte delle donazioni di Berengario al Vescovo Aimone nel 899 e nel 923.
«E poi passata la Piave, con mirabile prestezza, pigliarono Lanceniga, Villaorba, Cavaso, Margnano, e Teverone; et edificarono un castello, chiamandolo Bellona, volendo che ivi fosse il termine delle vittorie dei bellunesi. E ritornando per il Feltrino presero il castello di Pietra Bullada, de Lusia e de Fonzaso: e più a dentro nel Trentino allargarono molto il suo dominio, edificando il castello che fu Cividono chiamato, sopra l'Adige vicino a Vallese: fa di queste vittorie in gran parte mentione, l'Istoria Trevigiana e specilmente nel terzo libro di quella. Furono questi acquisti de Bellunesi confirmati nella città di Verona da Ottone II imperatore l'anno 983». (18)
Per una plausibile spiegazione di queste scorrerie, altro non si può supporre che una approvazione, se non addirittura un comando, (del quale a noi non sia pervenuta notizia) da parte dell'imperatore Ottone II; il quale del resto, si affrettò a confermare l'avvenuta conquista l'anno 983 nella città di Verona. (19)
Di un altro ordine invece ci è pervenuta notizia: ed è quello con il quale Ottone II «comandò ai Bellunesi che non dovessero somministrare ai Veneziani vittovaglia di alcuna sorte: anzi dovessero con le sue genti impedire, che per la Piave non fossero da altri portate.
et a questo si indusse Ottone, pregato dalli Caloprini, li quali per aver congiurato contro il Memo Doge di Venezia, erano stati dalla patria scacciati, le loro case rovinate, e le mogli con li figliuoli incarcerati. Non si fecero li Bellunesi, con Giovanni suo Episcopo, molto pregare, essendo stati altre volte dal Doge Candiano de molti suoi beni spogliati.
Travagliò il bellunese Episcopo, grandemente la Repubblica di Venezia, tenendo la sua militia sopra il detto fiume, proibendo il passo a tutti quelli che volessero passare: onde per questo e per altri impedimenti, che da altri li venivano fatti, cominciò Vinegia a soffrir molto: e le isolette più vicine si staccarono dalla sua amicitia, apertamente rebellandosi»J. (20)
«Morto Ottone II, tale stato di cose durò a lungo, durante la minorità del terzo Ottone: e sebbene il terribile prelato fosse innanzi con gli anni, nulla smettava della sua fierezza». (21)
Giovanni «era molto amato da suoi Bellunesi... Egli non risparmiava nè fatica nè pericolo... e nella austerità della sua indole era affabile verso i suoi militi e fedeli: Usava le insegne comitali e marchionali, e nelle solenni funzioni di Chiesa teneva la spada nuda sull'altare (22) e se la faceva portare innanzi in segno di Dominio che pel titolo di Conte gli veniva: ed aveva proprio stendardo dietro al quale cavalcavano i suoi militi, non sotto quello di altro signore». (23)
Le cose cominciarono a prendere una piega diversa quando salì al dogado di Venezia Pietro II Orseolo, il quale invece di affrontare direttamente il temibile avversario, cercò di mettersi in buone relazioni con l'impero: si fece amico di Ottone III e «il 19 luglio 992 a Muellhausen» ottenne «la conferma dei vecchi confini luitprandici tra il dogado e il regno d'Italia,... invitò a farsi mediatore il duca di Baviera Enrico il Rissoso, che nel 989 era stato nuova-mente investito della marca di Verona». (24)
Ma andando troppo a rilento le cose, «Pietro mandò ambasciatore Giovanni Diacono suo cappellano in Aquisgrana presso Ottone III, il quale riprovando assolutamente l'agire del duca Enrico, gli fece estendere (il l° maggio 995) una nuova solenne conferma dei confini luitprandici. E contemporaneamente mandò in Italia Bruno, uno dei suoi vassalli per distogliere il vescovo dall'illegale procedere: il quale non disposto ad adattarsi tanto facilmente al regale comando, non volle nemmeno riceverlo. Tanto a quel tempo era alterato il vescovo, dice il nostro Piloni, che nè per prieghi, nè per minacce dell'imperatore eletto, non volle rallentar punto le incominciate imprese contro i veneziani». (25)
«Bruno, inasprito certamente da tale trattamento, diede al doge il consiglio di chiudere ogni commercio con la marca di Verona e con l'Istria», (26) mettendo in atto quello stesso modo di guerreggiare che, a suo tempo, Ottone Il aveva suggerito ai Bellunesi.
L'attuazione del consiglio raggiunse lo scopo desiderato. «Il vescovo di Treviso infatti, e Sicardo vescovo di Cèneda possessore anch'egli di diverse terre in quel comitato, presto si accordarono coi veneziani: e poco dopo anche Giovanni sia che fosse mosso dal loro esempio e dal bisogno dei suoi soggetti, o che temesse l'ira di Ottone e la fermezza del doge, considerando la deferenza che mostrava il giovane coronando per questo principe a cui aveva voluto legarsi personalmente colla parentela del comparatico, si piegò finalmente agli accordi». (27)
«Il 25 marzo del 996 fu tenuto in Verona solenne «placito» dai due Messi imperiali, Ottone di Carinzia e margravio di Verona e Pietro vescovo di Como per decidere il litigio». 28)
Neppure dopo la sentenza di questo placito le cose andarono liscie fra i contendenti.
Ma finalmente nel 998, impressionati forse per l'ascendere della potenza di Venezia che l'anno prima «aveva aquistato la Dalmazia et superato i popoli di Narrenta, quali haveano longotempo conteso con Venetiani, cominciorno li Bellunesi a pensar meglio a casi suoi: a fatti più piacevoli dettero orecchie a quelli che haveano trattato di pacificarli».(29)
E così quando «Wangerio, Messo dell'imperatore, tenne placito solenne nel comitato cenedese insieme con Azeli conte di quel comitato, col vescovo Rozo di Treviso e con una gran quantità di altri giudici e baroni,... Giovanni vescovo di Belluno, con Magilelmo suo avvocato, confessò e riconobbe i diritti dei veneziani ai vecchi confini longobardici tra Cittanova e Oderzo e promise di osservarli, sotto pena... di cento lire di buoni denari d'argento: e il messo Wangerio pose il bando imperiale di mille mancosi d'oro sopra qualunque presumesse di inquietare i veneziani pel possesso di quel territorio, senza legale giudizio». (30)
Questa sentenza di pace definitiva fu promulgata il 3 maggio 998 a Staffolo, meschino casale tra le paludi più di due chilometri a mezzodì di Torredi-Mosto e in quel comune, allora probabilmente corte regia di qualche importanza, situata proprio presso i confini in contestazione»...
«Tre mesi dopo fu confermata ancora più solennemente questa sentenza e terminato per sempre il litigio ai 18 luglio nella città di Verona nella loggia del palazzo vescovile presso l'Adige... In questo atto noi vediamo Giovanni ormai fuori causa, assistere alla sentenza e segnarla cogli altri vescovi e conti come giudice e non come parte». (31)
«La pace conchiusa da questo nostro glorioso e potente vescovo, e conte o vassallo imperiale coi veneziani, venne meritatamente celebrata dal pennello dell'illustre nostro pittore Giovanni Demin, che fu chiamato a decorare la sala municipale di questa città»... (32)
La morte del vescovo Giovanni, probabilmente, avvenne nell'anno 999: comunque tra l'agosto 998 e il mille, perché in quest'anno troviamo nella sede di Belluno il vescovo Ernefredo: «e giusta i nostri computi, nella grave età di oltre 80 anni, dopo 35 interi anni di vescovado e di doppio regime, e una tanto attiva, operosa e travagliata vita». (33)
1) F. Pellegrini, «Ricerche sulle condizioni politiche di Belluno e della provincia fino al secolo de-cimo e specialmente del vescovo Giovanni li» pagg. 20 e 21.
F. Pellegrini in op. cit., pag. 22.
F. Pellegrini in op. cit., pag. 23.
A questo proposito potremmo porci l'interrogativo se il Piloni, bellunese, sia stato a conoscenza di questo «Chronicon», e quale valore gli possa aver attribuito, dal momento che esso non risulta citato tra le 150 opere da lui consultate per la compilazione della sua «Historia della città di Belluno».
Piloni, op. cit., pagg. 115 e 116.
Del resto, che Giovanni sia stato eletto vescovo ancor prima del 963, lo si deduce dallo stesso «Diploma» di Ottone I.
Ughello Fiorentino, in «Italia Sacra» tomo V, col. 172.
Per il «Diploma» di Ottone I, cfr. F. Pellegrini, pagg. 45 e 46 op. cit.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 15.
Nell'atto, edito per la prima volta da F. Pellegrini in appendice all'op. cit., si legge: «ista Vizza, de comitatu Bellunensi»...
F. Pellegrini, op. cit., pag. 15.
F. Pellegrini, cfr. op. cit., pag. 23.
I I) Cfr. F. Pellegrini, op. cit., pag. 39.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 39.
Cfr. F. Pellegrini, op. cit., pag. 16.
Piloni, op. cit., pagg. 118 e 119. Da questo feudatario Fantuccio ebbero inizio quelli che poi furono chiamati i Conti di Polcenigo. Cfr. anche F. Pellegrini, op. cit.
Piloni, op. cit., pag. 120.
Piloni, op. cit., pag. 119.
F. Pellegrini, op. cit. pag. 26.
Piloni, op. cit., pag. 119. Pare che «Cividono» posa essere individuato nell'attuale «Civezzano».
Cfr. F. Pellegrini, op. cit., pag. 29.
Piloni in op. cit., pag. 119.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 29.
Forse ciò rientrava nel costume longobardo del quale sarebbe rimasta traccia nella «Messa dello Spadone» che anche attualmente si celebra in Cividale del Friuli il giorno dell'Epifania.
Piloni, op. cit., pag. 119.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 30.
F. Pellegrini, op. pag. 31.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 32.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 33.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 34.
Piloni, op. cit., pag. 120.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 35.
F. Pellegrini, op. cit., pagg. 35 e 36.
F. Pellegrini, op. cit., pagg. 37 e 38.
F. Pellegrini, op. cit., pag. 41.
Volendo iniziare il computo dall'anno 959 nel quale G. Piloni e F. Ughello ci presentano Giovanni come già vescovo, gli anni del suo episcopato sarebbero stati circa quaranta.
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