Mamma e papà di Paola non si amavano più. Paola buona e mite,
capiva tutto. Papà e mamma erano pieni d'ira e si voltavano la
schiena. Papà, una volta, aveva rotto un bicchiere dando un
pugno sulla tavola e mamma aveva schiaffeggiato Paola, perché
non osava ancora schiaffeggiare papà.
Paola andava dall'uno all'altra, e diceva delle parole piacevoli
per farli ridere, raccontava tutte le cose buffe che le erano
capitate e quello che era successo a scuola, tentava di
riconciliarli.
Un giorno, che la cosa sembrava particolarmente grave, Paola
aveva addirittura finto di essersi avvelenata con la benzina per
smacchiare. Voleva che i genitori facessero la pace al suo
capezzale.
Tre mesi dopo, tutto era ricominciato. Paola continuava il suo
lavoro di formica. E non disperava. Di notte, nel suo lettino,
stringeva forte forte al cuore il suo tigrotto di stoffa, che
si chiama Titì, e che era spelacchiato e malconcio per i tanti
abbracci, baci, Nutella e lacrime che in nove anni Paola gli
aveva rovesciato addosso.
Dalla camera di papà e mamma filtravano spesso strilli e
imprecazioni soffocate, e il rumore degli attaccapanni sbattuti
di malagrazia. Paola si premeva forte le mani sulle orecchie e
pregava: «Signore, per piacere, falli smettere!».
Quando arrivava un estraneo e osservava gli occhi gonfi di
mamma, e papà afono per aver troppo gridato, Paola preveniva le
critiche e diceva: «Vedi, è colpa delle cipolle». Oppure: «Non
conosce una medicina per papà? Ha il mal di gola e non può più
parlare».
Una notte, Paola fu svegliata dalla solita baruffa. Dormiva
abbracciata a Titì e sentì chiaramente: «Basta! Non possiamo
continuare così!», diceva mamma.
«Sei tu che vuoi sempre avere ragione!» ribatté papà. «Che cosa
suggerisci, sapientona?».
«Ci... dividiamo. Ognuno per conto suo e... non se ne parli
più!». La casa si riempì di silenzio.
Ma qualcuno con un buon udito avrebbe potuto sentire il piccolo
cuore di Paola che batteva all'impazzata: «Tum... tum... tum...»,
mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. «Non voglio! Non
voglio!». Mormorava piano piano.
«E allora parti!», disse una voce. Paola trattenne il fiato per
la sorpresa.
«Chi ha parlato? Chi c'è qui?», domandò un tantino inquieta.
«Sono io. Titì», riprese fiera la vocina.
Paola accese la luce del comodino ed esaminò il tigrotto di
stoffa. «Tu, parli?».
Gli occhi di vetro di Titì brillarono come fossero veri. «Quando
ci vuole, ci vuole», bofonchiò. «Chi ama tanto, può far parlare
anche le pietre, se è solo per questo. Ora ascoltami bene: posso
parlare solo una volta nella vita, anche se la vita di un
animale di stoffa è piuttosto lunga e non mi posso lamentare. E
certo che la vita con te è piuttosto... umida».
«Scusami», sussurrò Paola.
«Non c'è di che. Quando avevi tre mesi mi inondavi con ben
altro... Ecco quello che devi fare: vai a riprendere l'amore
perduto di mamma e papà».
«Dove?».
«C'è un posto dove si trovano tutti gli amori perduti.
Non perdere tempo; bisogna riportarli finché sono ancora vivi,
caldi e luminosi; altrimenti non c'è niente da fare... Puoi
andare soltanto tu. Prenditi lo zainetto: l'amore di un papà e
una mamma è pesante».
«Ma non conosco la strada». Protestò Paola mentre si vestiva e
indossava il fedele zainetto scolastico.
«La troverai. Parti diritto avanti a te». «Ma c'è il muro!».
«Fidati di me. Tira diritto!».
Paola chiuse gli occhi e... passò attraverso il muro.
Si trovò in un giardino intersecato da molti sentieri. Ne
imboccò uno. Dopo un po, scorse su una panchina qualcosa che
brillava. Si avvicinò e vide che era un pezzettino dell'amore di
mamma e papà. Naturalmente lo riconobbe subito, perché i figli
sono fatti con l'amore di mamma e papà. Poco più in là, vicino a
una grande quercia, vide un altro pezzettino, appena uno
spolverio, dell'amore di mamma e papà. Si avvicinò e vide che,
in un angolino del tronco rugoso, erano incise alcune parole:
«Riccardo e Ornella, per sempre».
«Sono mamma e papà», mormorò Paola. Raccolse la polvere
luccicante e la infilò nello zainetto con il pezzetto che aveva
già trovato. «Di questo passo, ci metterò un sacco di tempo» si
disse.
Proprio in quel momento alzò gli occhi e vide il cartello
indicatore: «Deposito amori perduti. Di qua».
«Grazie», sussurrò e cominciò a camminare. Il paesaggio cominciò
a cambiare e prese a soffiare un vento gelido e tagliente.
Paola si strinse rabbrividendo dentro il «pile». Solo la
polvere d'amore che aveva trovato mandava un lieve tepore. La
pista ghiaiosa finiva stroncata in una palude triste e
minacciosa. Un cartello festonato di ragnatele polverose
indicava: «Palude del Mio-mio».
«Sempre diritto!», fece Paola ad alta voce. Strinse i pugni e si
incamminò nel fango.
Ogni passo le costò fatica e lacrime. Il fango della palude era
vischioso e cercava di trattenerla. Ma Paola arrivò dall'altra
parte. La strada riprendeva con una ripida salita e dopo alcuni
tornanti si interrompeva bruscamente. Paola era stanca e quando
scorse che cosa l'attendeva, si accasciò avvilita. «Oh, no!».
Quello che aveva davanti era il peggiore dei precipizi che
avesse mai visto. E per di più lei pativa le vertigini.
Incastrato sull'orlo del dirupo faceva capolino il solito
cartello scheggiato: «Salto della fiducia». La parola «salto»
non diceva niente di buono a Paola, ma la prospettiva di tornare
ad affrontare la palude era altrettanto tremenda.
Si affacciò sul ciglio del precipizio, chiuse gli occhi, strinse
i pugni e saltò.
Atterrò sul soffice. Si trovò su uno strato di rose enormi,
profumate, colorate, morbide come seta. Si rialzò e ricominciò a
camminare con decisione. Troppa decisione. Le sue gambe
affondarono e le spine, spine enormi come le rose, la ferirono.
«Ahi!», gridò Paola.
Un'ape che ronzava come un elicottero con il suo canestrino per
raccogliere nettare, la rimbrottò severamente: «Devi essere
delicata, se vuoi camminare sulle rose. Non lo sai?».
«Grazie, signora ape. È che sto cercando l'amore perduto di
mamma e papà».
«Sei quasi arrivata. Vai sempre diritto. E mi raccomando...
Delicatezza e rispetto!».
Paola riprese a camminare, facendo molta attenzione a dove
poggiava i piedi. Il sentiero di rose si fece sempre più solido
e sicuro.
Finalmente, dopo una collinetta color tramonto, Paola arrivò a
una strana costruzione. Il cartello non lasciava dubbi:
«Deposito degli amori perduti. Fare lo scontrino alla cassa».
La gioia di Paola si velò di preoccupazione. Aveva esattamente
un euro e cinquanta centesimi in una tasca dello zainetto.
Quanto poteva costare lo scontrino per ritirare un amore
perduto?
C'erano altre persone che facevano la coda davanti a un burbero
cassiere, che teneva in mano una bilancia a due piatti: su uno
poneva l'amore perduto richiesto, sull'altro il prezzo che il
richiedente era disposto a pagare.
A quanto pareva nessuno riusciva a pagare la somma richiesta. E
il cassiere, inflessibile, li rimandava indietro. Davanti a
Paola c'era un uomo triste e grigio. Mise sul piatto della
bilancia un milione. Ma il piatto della bilancia non si mosse
neanche un po. L'amore perduto pesava molto, molto di più.
L'uomo se ne andò, più triste e più grigio di prima.
Paola era davvero preoccupata. Stringendo in pugno le sue due
monete, guardò il cassiere e disse con la sua voce da
passerotto: «Vorrei l'amore perduto di mamma e papà».
Il cassiere aprì un armadio e ne tirò fuori un grosso amore che
sistemò sul piatto della bilancia.
«È ancora caldo e luminoso, meno male», pensò Paola. «Come
paghi?», chiese severo il cassiere.
Paola allungò esitante la mano con le monete, poi con
un'improvvisa ispirazione, si sedette sull'altro piatto della
bilancia.
I due piatti scattarono e si fermarono in perfetta parità. «O.K.
Il prezzo è giusto!», disse il cassiere.
Paola lo abbracciò felice. Prese l'amore di mamma e papà e... si
trovò a casa.
Quando mamma e papà furono seduti a tavola per fare colazione,
Paola arrivò in pigiama e senza parlare posò in mezzo al tavolo
l'amore che aveva ritrovato.
Un'ondata di calore e di felicità, di baci e di voglia di
cantare, invase la casa.
Mamma e papà guardarono la loro bambina con occhi che brillavano
di una luce tenera. Paola aspettava. Mamma e papà sorrisero. Per
le sue misteriose vie, l'amore era tornato al suo posto.
«Grazie, Paoletta», disse mamma. «Abbiamo capito». «E ora
dobbiamo fare un viaggio. Anche noi...», continuò papà.
Paola li abbracciò tutti e due con un lungo e riconoscente
sospiro di sollievo.
Anche l'amore ha un prezzo. Te. |