domenica  24 aprile 2016
 

LA VECCHIA SIGNORA SCORBUTICA

 

Sul tavolino da notte di una vecchia signora ricoverata in un ospizio per anziani, il giorno dopo la sua morte, fu ritrovata questa lettera. Era indirizzata alla giovane infermiera del reparto.

«Cosa vedi, tu che mi curi? Chi vedi, quando mi guardi? Cosa pensi, quando mi lasci? E cosa dici quando parli di me?

Il più delle volte vedi una vecchia scorbutica, un po' pazza, lo sguardo smarrito, che non è più completamente lucida, che sbava quando mangia e non risponde mai quando dovrebbe.

E non smette di perdere le scarpe e calze, che docile o no, ti lascia fare come vuoi, il bagno e i pasti per occupare la lunga giornata grigia. questo che vedi!

Allora apri gli occhi. Non sono io.

Ti dirò chi sono.

Sono l'ultima di dieci figli con un padre e una madre. Fratelli e sorelle che si amavano.

Una giovane di 16 anni, con le ali ai piedi, sognante che presto avrebbe incontrato un fidanzato. Sposata già a vent'anni.

Il mio cuore salta di gioia al ricordo dei propositi fatti in quel giorno.

Ho 25 anni ora e un figlio mio, che ha bisogno di me per co­struirsi una casa.

Sono una donna di 30 anni, mio figlio cresce in fretta, siamo le­gati l'uno all'altra da vincoli che dureranno.

Quarant'anni: presto lui se ne andrà. Ma il mio uomo veglia al mio fianco.

Cinquant'anni: intorno a me giocano daccapo dei bimbi. Rieccomi con dei bambini, io e il mio diletto.

Poi ecco i giorni bui, mio marito muore. Guardo al futuro fre­mendo di paura, giacché i miei figli sono completamente occupati ad allevare i loro.

E penso agli anni e all'amore che ho conosciuto. Ora sono vec­chia. La natura è crudele, si diverte a far passare la vecchiaia per paz­zia. Il mio corpo mi lascia, il fascino e la forza mi abbandonano. E con l'età avanzata laddove un tempo ebbi un cuore vi è ora una pietra.

Ma in questa vecchia carcassa rimane la ragazza il cui vecchio cuore si gonfia senza posa. Mi ricordo le gioie, mi ricordo i dolori, e sento daccapo la mia vita e amo.

Ripenso agli anni troppo brevi e troppo presto passati. E accetto l'implacabile realtà "che niente può durare".

Allora apri gli occhi, tu che mi curi, e guarda non la vecchia scor­butica... Guarda meglio e mi vedrai».

 

Quanti volti, quanti occhi, quante mani incrociamo, ogni giorno. Che cosa guardiamo? Le rughe, le ostilità, i dubbi, le durezze. Se im­parassimo invece a guardare i sogni, i palpiti, gli amori spesso così ac­curatamente nascosti?

 
 
 

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