domenica  12 marzo 2023
 

FATHER FORGETS

 

Ascolta, figlio: ti dico questo mentre stai dormendo con la ma­nina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte. Mi so­no introdotto nella tua camera da solo: pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un'ondata di rimorso mi si è ab­battuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.

E stavo pensando a queste cose: ti ho messo in croce, ti ho rim­proverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di la­varti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe. Ti ho rimproverato aspramente quando hai butta­to la roba sul pavimento.

A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto: hai fatto cadere co­se sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo. Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato:

«Ciao, papino!» e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: «Su diritto con la schiena!».

E tutto è ricominciato da capo nel tardo pomeriggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare e si vedevano le calze bucate. Ti ho umiliato davanti agli amici, speden­doti a casa davanti a me. Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura.

Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto do­ve leggevo, con uno sguardo che parlava dell'offesa subita? Quando ho alzato gli occhi dal giornale, impaziente per l'interruzione, sei ri­masto esitante sulla porta. «Che vuoi?», ti ho aggredito brusco. Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l'af­fetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai. Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale.

Be', figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il gior­nale e mi ha preso un'angoscia terribile. Cosa mi sta succedendo? Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto? Nient'altro per sta­notte, figliolo. Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.

È una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio. Ma domani sarò per te un vero papà. Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quan­do tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti. Continuerò a ripetermi, come una formula di ri­to: «È ancora un bambino, un ragazzino!».

Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo. E in­vece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei ancora un bambino. Ieri eri dalla tua mamma, con la testa sulla spalla. Ti ho sempre chiesto troppo, troppo.

 

Vogliamo sempre troppo... dagli altri.

 
 
 

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