domenica  19 marzo 2023
 

UN ARCOBALENO PER IL GIGANTE

 

Il primo ricordo di Oscar è la faccia del Gigante. Era un faccione smisurato e terribile, tutt'intorno ad una bocca larghissima piena di denti. Il faccione aveva un espressione strana.

«Adesso mi mangia!» pensò Oscar e cominciò a strillare con tut­ta la forza delle sue minuscole ma tenacissime corde vocali.

La mamma accorse e il Gigante sparì. Stretto stretto al petto del­la mamma, Oscar spiegò affannato: «Mammina, c'era un gigante poco fa sulla mia culla e mi voleva assaggiare! Un gigantone spa­ventoso! Con una grande bocca e tanti denti!». Naturalmente quel­lo che usciva dalla sua bocca era soltanto: «Nghè! Nghé! Uè, uè!» ma la mamma aveva il traduttore automatico e capiva.

Il Gigante rimase a gironzolare nei dintorni. Una volta lo prese in mano. Oscar stava tutto in una sola di quelle manone. Si preparava a strillare, ma scoprì che la manona era calda, accogliente e il vo­cione del Gigante, che rimbombava: «Oh là, là!», non era poi così spaventoso. Anzi.

Così Oscar imparò a vivere con il Gigante. Non sapeva bene che cosa facesse. Spariva parecchie ore al giorno, ma quando c'era Oscar si sentiva felice, sicuro, protetto.

Avere un gigante al proprio servizio non è niente male, pensava Oscar.

Quando l'orribile cane del Signor Pacucci minacciò ringhiando i teneri polpacci di Oscar, il Gigante lo polverizzò praticamente con la sola apparizione. Il Gigante sapeva fare le operazioni e scrivere le let­tere dell'alfabeto e raccontare le storie delle sue terre, piene di orchi, fate, draghi e cavalieri. Un giorno, arrivò con una biciclettina e inse­gnò ad Oscar ad usarla. Gli stette dietro per giorni, al parco, tenen­dolo con un dito, finché Oscar non fu in grado di pedalare da solo.

Tump, tump! facevano i suoi piedoni. Oscar scoprì che quando sentiva quel Tump, tump! tutte le paure svanivano.

Ma un giorno venne il nonno a prendere Oscar a scuola. Così capì che qualcosa non andava, perché doveva esserci la mamma al suo posto. Dovevano andare tutti fuori a cena, quella sera, per fe­steggiare il compleanno della loro amica Laura. Quando il nonno disse che il Gigante aveva avuto un attacco di cuore, Oscar pensò che stesse scherzando. Ma quando si rese conto che diceva sul serio pensò che sarebbe morto anche lui. Ero troppo scioccato persino per piangere. Si sentiva intorpidito e indifeso. Rimase lì, pensando «Perché? Eri così grande, forte e in salute. Lavoravi ogni giorno all'a­perto». Pensava che fosse l'ultima persona al mondo che potesse ave­re un attacco di cuore.

Andare in ospedale fu terribile. Il Gigante era in coma. C'erano tantissimi tubi e macchine intorno a lui. Non sembrava nemmeno lui. Oscar tremava. Voleva solo che il Gigante si svegliasse da quel­l'orribile incubo e lo portasse a casa.

L'ospedale era pieno di persone. Erano molto gentili con Oscar.

Il bambino non sapeva che il Gigante avesse così tanti buoni amici C'era anche Laura, ma non si festeggiò il suo compleanno.

Dopo quel primo giorno ne seguirono altri due di angoscia, di veglia e di preghiere. Non funzionò. Il 26 di febbraio accadde la co­sa più tragica di tutti i dieci anni di vita di Oscar, e forse anche di tutti gli anni che vivrà. Il Gigante morì.

Con marzo arrivò la festa del papà. Oscar comprò un bel bi­glietto d'auguri e scrisse la sua lettera:

 

Non so nemmeno se mi hai sentito, quando ti ho detto addio. Non ero mai stato a un funerale, prima, ma mi sorprese vedere che erano venute più di mille persone. C'erano tutti i familiari e gli amici, ma anche un sacco di persone che non conoscevo nemmeno. Immaginai poi che fossero persone che avevi trattato nello stesso modo speciale in cui trattavi me. Ecco perché tutti ti volevano bene. Certo, ho sempre saputo che eri speciale, ma in fondo eri il mio pa­pà. In quel giorno scoprii che eri speciale anche per molte altre per­sone.

Anche se ormai è passato del tempo, ti penso sempre e mi manchi molto. Alcune notti piango fino ad addormentarmi, ma cerco di non buttarmi troppo giù. So che ho ancora molto di cui essere grato. Tu mi hai dato più amore in dieci anni di quanto molti bambini ne ricevano in tutta la vita. È vero, non puoi più giocare a palla con me nei fine settimana, né portarmi fuori a colazione, né raccontarmi le tue sto­rielle o passarmi di nascosto qualche spicciolo.

Ma io so che sei ancora con me. Sei nel mio cuore e nelle mie ossa. Sento la tua voce, dentro di me, che mi aiuta e mi guida nella vita. Quando non so che cosa fare, cerco di immaginare quello che mi con­siglieresti tu. Sei ancora qui, a darmi consiglio e ad aiutarmi a capire le cose. So che qualunque cosa accada, ti vorrò sempre bene e ti ricor­derò.

Ho sentito dire che quando qualcuno muore, Dio manda un arco­baleno a prendere la persona per portarla in paradiso. Il giorno in cui sei morto è apparso in cielo un doppio arcobaleno.

Tu eri alto quasi due metri. Probabilmente un solo arcobaleno non era abbastanza per portarti fino in paradiso.

Ti voglio bene papà.

Oscar

 
 
 

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