PREGARE FA BENE ALLA SALUTE

RICERCHE MEDICHE RECENTI A CONFRONTO CON LA TRADIZIONE

Il Rosario può aiutare la salute. Lo sosteneva di recente l'inserto di un quotidiano. Dai risultati medici di oggi a uno sguardo più ampio su una lunga tradizione ascetico-spirititale.

 Nel clima del postmoderno c'è da aspettarsi di tutto, compresa la ricerca medica sulla quale relaziona il Corriere Salute del 3 febbraio 2002, p. 11.

Gli ospedali Radcliffe di Oxford, di Gdansk in Polonia e S. Maria nuova in Firenze hanno condotto una ricerca su 23 pazienti, coordinata da Luciano Bernardi dell'università di Pavia, a conclusione della quale risulta che il rosario, «quello canonico, in latino, che prevede la recitazione per tre volte di 50 Ave Maria», riduce gli atti respiratori a 6 al minuto di contro ai 14 che avvengono nella respirazione abituale.

Per gli ignari di che cosa significhino tali valori, precisiamo che con essi si producono «i simpatici effetti prodigiosi»   consistenti in «una sincronizzazione dei respiro con il ritmo del cuore e con quello della circolazione del sangue» effetto che, manco a dirlo, è «senz'altro benefico», soprattutto nei casi di scompenso cardiaco.

Uno sguardo a varie forme di preghiera

A questo punto si può immaginare l'esultanza dei libretti devoti che, nelle prossime riedizioni, si affretteranno ad aggiungere un nuovo e scientifico argomento di raccomandazione dei rosario anche dal punto di vista medico. Giova tuttavia precisare che l'articolo in questione informa anche su esperimenti milanesi che all'uopo usano il metronomo e che il rosario è considerato solo come tecnica, avvicinato al mantra yoga. La parentela con le pratiche orientali è delineata in modo così stretto che il rosario viene fatto giungere in Europa dai crociati, che lo appresero dagli Arabi, i quali a loro volta lo avrebbero appreso dai monaci tibetani. Non è il caso di intrattenersi su parentele ardue da dimostrare.

E’ il caso invece di apportare qual che considerazioni di prolungamento, ricordando che nell'oriente cristiano, ma anche in occidente, esistono forme di preghiera legate in qualche modo al respiro e al cuore e rifluenti sulla salute.

La descrizione del metodo esicasta a opera di Niceforo del Monte Athos (metà dei sec. XIII) insegna: "Chiudi la porta e innalza la tua mente al di sopra di ogni cosa vana e temporale, poi appoggia la barba sul petto rivolgendo i tuoi occhi corporei con tutta la tua mente al centro dei ventre, cioè all'ombelico; quindi trattieni l'inspirazione d'aria delle narici in modo da non respirare liberamente e indaga mentalmente l'interno delle viscere per trovare il luogo del cuore, dove per natura amano trattenersi tutte le potenze dell'anima (   ... ). Il resto lo imparerai, con l'aiuto di Dio, mantenendo Gesù nel cuore con la custodia della mente".

Preghiera e silenzio

Raggiunto il luogo del cuore, l'orante ripeterà la formula: «Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». La tecnica è un culmine a partire dalle consegne discrete di Antonio che consigliava: «respirate sempre Cristo», o di Giovanni Climaco che precisava: «la memoria di Gesù sia unita al tuo respiro».

Tale forma di preghiera sarà divulgata nel secolo XIX da 1 racconti di un pellegrino russo, anche se il numero delle ripetizioni tende un po' a prevalere sul legame tra formula, respiro e cuore. Qui si trova però descritto un benessere fisico che dalla preghiera non solo rifluisce nello spirito e nell'intelletto, ma anche nei sensi che sperimentano «un piacevole calore nel cuore, una delizia diffusa in tutti gli organi, un dolce fervore dei cuore, e poi leggerezza. ardore, gioia di vivere, insensibilità alle malattie e agli affanni».'

Meno conosciuta è invece la preghiera a respiro ritmato di Ignazio di Loyola: «ad ogni respirazione o movimento respiratorio si deve pregare mentalmente pronunziando una parola del Padre Nostro o di qualche altra preghiera che si recita, in modo tale che una singola parola venga detta tra un respiro e l'altro. Mentre poi dura il tempo tra un respiro e l'altro, si badi principalmente al significato di tale parola, o alla persona a cui si rivolge la preghiera, o alla propria pochezza, o alla differenza tra quella altezza e la propria bassezza». Non sembra che il santo abbia legato a tale esercizio un particolare benessere fisico, ma dalla descrizione sarebbe facilissimo dedurvelo.

Dal canto suo Teresa d'Avila parte dalla constatazione che in situazioni fisiche indisponenti si prega con difficoltà, ma poi si spinge oltre e annota per esperienza personale che se ci sono delle estasi violente che fanno soffrire, ce ne sono altre che guariscono: «se prima il corpo era infermo e pieno di dolori, spesso (dopo l'estasi) si ritrova guarito e con maggiori energie, perché il Signore vuole che di questa grazia così sublime partecipi talvolta anche lui, quasi in premio all'obbedienza che ormai presta ai desideri dell'anima».'

Viene da suggerire che i ricercatori citati si rivolgano anche a queste tecniche di preghiera, che forse,  a parte la difficoltà di produrre l'estasi teresiana. offrirebbero loro osservazioni più intriganti del rosario.

. In ogni caso, l'argomento va di moda e uno degli ultimi numeri di una prestigiosa rivista cattolica è intitolato Imparare a pregare in silenzio ed è ricco di foto di signore ben truccate, oltre gli "anta" e che non possono essere che francesi, sedute per terra a piedi nudi e incrociati c'è anche qualche prete di mezza età, ma senza addome prominente, impegnate in una perfetta positura di loto e di mezzo/loto.

E anche qui si arriva a una sorta di indicatore di benessere fisico in un riquadro che recita: «Non bisogna inquietarsi se ogni tanto nella meditazione si constata che la respirazione si arresta un buon momento, finita respirazione. Non è né la morte né l'estasi, si tratta semplicemente del fatto che l'organismo, usando pochissima energia nella positura immobile, non ha bisogno di rilanciare immediatamente una nuova inspirazione».' Beato chi ci arriva.

Volendo, si potrebbe rovesciare la problematica notando che la preghiera pone a sua volta certe esigenze al corpo che deve divenire, "orante". E una trasfigurazione lenta e dolorosa che la risurrezione renderà luminosa e definitiva (2Cor 3,18). ] E’ un tema caro alla tradizione monastica. L'abbà Giuseppe, interrogato da un giovane sulla preghiera, «alzatosi, aprì le braccia verso il cielo e le dita divennero come dieci fiaccole: Se vuoi - gli disse - diventa tutto di fuo co» e Francesco «non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente»,' anche nel corpo.

Preghiera e terapia

E la liturgia? Sembra decisamente non attirare l'attenzione dei ricercatori. Non parliamo qui delle "preghiere di guarigione", né della tradizionale eucologia sugli infermi, né dei nuovo rapporto tra rito e guarigione - chi volesse approfondire nuove prospettive può consultare Aa.Vv., Litiirgia e terapia (EMP, Padova 1994, pp. 382) -, ma della tecnica, dei movimenti, della partecipazione e se tutto ciò ha o non ha un effetto salutare o anche solo rilassante.

Il non interesse dei ricercatori, il loro volgersi al rosario e magari un domani sperimentare «i simpatici effetti prodigiosi» di altre forme che abbiamo suggerito, permettono di concludere che forse è bene che così sia: la Chiesa come tale non si è mai  impegnata in forme di preghiera altre da quelle consegnatele dal Signore stesso attraverso la tradizione apostolica e che sono di una nobile semplicità accessibile a tutti. mentre non a tutti si può imporre di contare numeri, percepire i battiti dei cuore e regolare il respiro.

Ciò premesso c'è da domandarsi se la liturgia non potrebbe conseguire un effetto analogo a quello del rosario, e cioè rilassare. Oggi spesso non avviene, ma umanamente dovrebbe avvenire se il ritmo celebrativo procedesse con operosa calma. Forse, anche se non prevedevano pause di silenzio, cosi erano certe liturgie antiche non condizionate dall'orologio.

Mentre nelle odierne celebrazioni anche le pause di silenzio diventano una tensione in più per via della preoccupazione di quanto devono durare. Il che fa supporre che anche i rosarianti sperimentali avrebbero accelerato il respiro se avessero dovuto fare i conti con l'orologio. La verifica al prossimo esperimento.

Riccardo Barile ( da la Settimana del clero)

 
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